martedì 19 luglio 2011

Pietro Forno e i membri della cricca

Milano, 14 luglio 2011 — Va di nuovo in scena il procuratore aggiunto di Milano Pietro Forno, coordinatore del pool fasce deboli. Stavolta chiede cinque assoluzioni: possibile? Si, perché in questo caso le persone coinvolte non sono accusate di reati sessuali, ma di aver dichiarato il falso e di aver cercato di produrre prove di abusi mai occorsi allo scopo di allontanare due bambini dalla loro famiglia. Imputati nel procedimento sono una preside, Graziella Bonello, due maestre, Teresa Naso e Barbara Mazziotti, un'assistente sociale, Federica Micali, e uno psicologo, Luca Motta.

La vicenda inizia con il ritrovamento di un disegno osé sotto il banco di una bambina di 9 anni in una scuola elementare di Basiglio. Sul foglio di carta erano raffigurati due ragazzini in atteggiamenti sessuali con sotto la scritta «Giorgia [nome di fantasia ndr] tutte le domeniche fa sesso con suo fratello, per 10 euro. A lei piace». Tanto è bastato al Tribunale dei Minori per emettere un provvedimento di allontanamento della piccola dal suo nucleo familiare, con soggiorno presso uno dei rinomati centri CISMAI. Tuttavia, quel disegno era stato fatto da una compagna di classe probabilmente per fare un dispetto. Questo è un punto: la preside e le due maestre, pur sapendo di questo "particolare", avrebbero omesso di riferirlo ai magistrati. Secondo Forno, il fatto non costituirebbe reato perché gli inquirenti non hanno mai chiesto esplicitamente alle docenti se il disegno fosse stato fatto proprio dalla bambina. Il secondo punto riguarda l'assistente sociale e lo psicologo: i due avrebbero costretto il fratello di tredici anni della piccola, anche lui allontanato e costretto in un centro di affido, a confermare i sospetti sulla natura e l'origine del disegno. Per questo fatto, la coppia di abusologi è accusata di lesioni psicologiche colpose, per il trauma causato al ragazzino, e di falso ideologico, per averlo indotto alla menzogna (accusa di cui avrebbe dovuto rispondere la Della Rosa e parecchi altri suoi colleghi diverso tempo addietro). Per Forno tuttavia, sarebbe indimostrabile il nesso causale tra le domande a cui il 13enne è stato sottoposto e il trauma subito per quello che riguarda il reato di lesioni, mentre per ciò che concerne quello di falso ideologico sempre secondo lui la relazione stilata dai due e depositata presso il Tribunale dei Minori sarebbe sostanzialmente corretta nel contenuto. A noi piacerebbe avere accesso a tale documentazione perché non ci capacitiamo di come si possa difendere la buona fede di due individui che hanno cercato di estorcere ad un bambino una confessione di abusi sessuali perpetrati dai propri familiari a danno suo e della sorella.

Insomma, per Forno tutti questi errori non avrebbero rilievo penale. Sta di fatto che due bambini sono stati allontanati dalla propria famiglia e segregati per 69 giorni in un lager a causa della malafede di varie persone, chiaramente colluse tra di loro in quanto accomunate dal medesimo fine, quello di distruggere una famiglia felice.

martedì 8 marzo 2011

Rapita dalla giustizia: come ho ritrovato la mia famiglia

Rapita dalla giustizia: come ho ritrovato la mia famiglia è un libro scritto da Angela L., bambina originaria di Mesate e protagonista della storia, con la collaborazione di Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella.

Recensione

Angela viene prelevata da scuola il 24 novembre 1995, all'età di sei anni, da un’assistente sociale e da due carabinieri in divisa, e condotta nel Centro di Affido di Milano gestito dal Cismai. L’ordinanza è stata firmata dal Tribunale dei Minori sulla base di una perizia eseguita da una psicologa Cismai sulla bambina; nel libro viene raccontato di come la piccola sia stata in qualche modo costretta a disegnare su un foglio di carta ideogrammi che, nella dottrina psico-giuridica, vengono interpretati come sintomatici di abusi sessuali subiti. Nel gennaio 1996 il padre di Angela, Salvatore, accusato da una parente di aver abusato della figlia, viene arrestato su disposizione del Procuratore della Repubblica Pietro Forno e portato a San Vittore: verrà assolto con formula piena solo nel 2001, dopo due anni e mezzo di carcere preventivo. Intanto, la madre della bambina, Raffaella, si incatena davanti al Centro di Affido per richiamare l’attenzione dei media sulla vicenda: la donna infatti non ha mai cessato di credere all’innocenza del marito. Per recidere i rapporti tra la genitrice e Angela, il Tribunale dei Minori delibera il trasferimento di quest’ultima presso il Kinderheim di Genova, centro di affido sempre gestito dal Cismai. Nell’opera si racconta come in questi centri i bambini venissero maltrattati, costretti a svolgere lavori pesanti normalmente adibiti alle educatrici e, in caso di inadempienza, obbligati a svolgere centinaia di flessioni sulle ginocchia.

Nel 1998, Angela viene adottata da una famiglia di Carnago presso la quale rimane per otto anni, senza che i suoi veri genitori sapessero nulla di lei. Alle medie, apprende il significato della parola abuso e si convince di non averlo mai subito: tuttavia, non parla mai di questi argomenti con gli adulti per evitare di essere rispedita in orfanotrofio. Durante i primi anni, viene costantemente interpellata da una psicologa di Milano sui presunti abusi subiti da parte del padre (malgrado la sua assoluzione in Tribunale) e sul suo livello di inserimento nella famiglia adottiva: in questi colloqui, la bambina rimane sempre ostinatamente silenziosa. Nel 2005, il Tribunale dei Minori conferma l’adottabilità della ragazza spogliando di fatto i genitori carnali dalla potestà genitoriale, nonostante Salvatore sia stato scagionato da ogni accusa e Raffaella abbia continuato a crescere l’altro figlio senza alcun problema. A quel punto iniziano le interpellanze della famiglia attraverso i media. Tramite la televisione, Angela apprende che i suoi genitori, contrariamente a quanto le avevano fatto credere i suoi tutori e le assistenti sociali, la stanno cercando; ma la famiglia adottiva riesce a convincerla che loro di fatto non le volevano più bene.

Nel 2005 Raffaella viene casualmente a sapere, tramite un lettera spedita al marito dal comune di Milano in cui gli si chiedeva la restituzione del denaro servito al mantenimento di Angela nel Centro di Affido del capoluogo (60 milioni di lire), che la figlia trascorreva le sue vacanze ad Alassio. Inizia così la disperata ricerca: Salvatore e la moglie battono palmo a palmo le spiagge della cittadina nel tentativo di ritrovare la ragazza. Quando la trovano, la riconoscono subito. Un innocente pedinamento consente al padre di risalire al luogo in cui Angela viveva: Carnago, appunto. Il fratello è quello che si fa vivo per primo, consegnandole in una busta i ricordi della sua infanzia e vari documenti legali in cui era nascosta la verità di quei lunghi anni. Dopo una lite con il padre adottivo, Angela decide di fuggire e ritornare, dopo più di dieci anni, a Masate: sconfitti dalla testardaggine della giovane, i tutori si convincono a firmare l’affido temporaneo presso la famiglia di origine. Raggiunti i 18 anni, il ricongiungimento diventa definitivo.

Approfondimenti

Note

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lunedì 7 febbraio 2011

La storia di Angela nei gulag giudiziari, parte 3

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Angela viene quindi affidata ad un'altra famiglia, presso la quale rimane per ben otto anni. Alle medie impara il significato della parola abuso e si convince di non averlo mai subito: nel suo libro dichiara che con i grandi non parlava mai di queste cose per non finire di nuovo in orfanotrofio. Intanto, Salvatore è stato riconosciuto innocente prima in Appello e poi in Cassazione e assolto con formula piena: «Il fatto non sussiste [...] Angela, prima di essere sottoposta a indagini e all'inserimento nella struttura assistenziale, non rivelò alcun segno indicatore di pregresso o attuale abuso» scrivono i giudici, evidenziando come «le valutazioni psico-diagnostiche effettuate non abbiano sicura valenza scientifica e siano anzi [state] viziate dall'approccio non sempre corretto [per usare un eufemismo] degli esaminatori» nonché «la debole consistenza intrinseca» delle accuse e le molte «inverosimiglianze e incoerenze». Nelle motivazioni, si apprende anche come «nei numerosi incontri con Antonella [al Caf], Angela sia stata da questa influenzata con discorsi e confidenze poi rielaborati, arricchiti e magari travisati». Salvatore e Raffaella, scagionati da ogni colpa ma nonostante tutto tenuti all'oscuro di dove si trovasse la loro bambina, chiedono alle autorità di poterla finalmente riabbracciare.

Nel settembre del 2001, malgrado l'assoluzione definitiva di Salvatore il solito Tribunale dei minori di Milano, con un ultimo colpo di coda, conferma tuttavia l'adottabilità di Angela, che ormai ha quasi tredici anni. Negando ogni collegamento con la vicenda penale, l'Ufficio riformula la motivazione: ora la causa è la «ridotta capacità genitoriale» dei genitori, sebbene Raffaella per quasi sei anni abbia continuato, nonostante le difficoltà, a crescere l'altro figlio, Francesco. Una decisione crudele, irrazionale, probabilmente dettata dalla volontà da parte del Tribunale di attutire gli effetti dello scandalo creato dalla sentenza della Cassazione e che in qualche maniera era rimbalzato sui vari media italiani. La bambina rimane così con la famiglia adottiva.

Ma quella non era la famiglia di Angela. Come a voler prolungare in qualche maniera la sua sofferenza, i suoi genitori affidatari si dimostrano del tutto insensibili alle sue esigenze di bambina prima e di adolescente poi: di fatto Angela deve vivere la sua vita tra mille costrizioni finalizzate a fiaccare la sua volontà e farle seguire un percorso ben definito, quello stabilito dai suoi falsi familiari. Più volte, a causa del suo carattere ribelle, viene minacciata di essere riportata in orfanotrofio; del resto, la sua famiglia non cesserà mai di mantenere i contatti con l'assistente sociale che aveva seguito la piccola durante la sua permanenza nei centri di affido e con la Della Rosa. Numerosi sono i colloqui psicologici a cui viene sottoposta dal momento in cui viene rilasciata dalle strutture del Cismai sino a quando viene definitivamente adottata, nel 2001: come lei stessa racconta, in queste discussioni più volte si ritorna inutilmente a parlare dei presunti abusi (nonostante l'assoluzione del padre), probabilmente con l'intento di estorcerle una nuova confessione e far così riaprire l'inchiesta contro Salvatore. Ma Angela rimarrà sempre muta, ostinatamente.

Nel febbraio 2004, il Consiglio Superiore della Magistratura delibera la promozione di Pietro Forno per i suoi innegabili meriti femministi: da sostituto procuratore di Milano diventa il "numero due" della Procura di Torino. Francesco Saverio Borrelli lo ha sempre difeso.

Dopo anni di ricerche, Salvatore e Raffaella ritrovano Angela su una spiaggia di Alassio, dove è in vacanza. «Era il 31 luglio 2005 e la riconobbi subito» si illumina Salvatore; non la vedeva da quando aveva sette anni. Con la moglie Raffaella per 8 mesi si accontenta di seguirla da lontano, di vederla uscire dalla messa. Poi, nel marzo 2006, il fratello Francesco le consegna una lettera in cui le racconta la verità: che loro, contrariamente a quanto le avevano fatto credere le abusologhe e i suoi genitori adottivi, non l’avevano mai abbandonata e che anzi la cercavano da anni. Angela decide di tornare dai suoi: quando bussa la prima volta, dopo oltre 10 anni dal rapimento, è sera. Raffaella spalanca la porta e quasi sviene. Madre e figlia parlano tutta la notte, piangono, ridono.

Ma non finisce qui. «Poco prima di tornare a casa definitivamente, un pm ci ha provato ancora. Mi ha detto che se fuggivo di nuovo dalla mia famiglia adottiva, mi avrebbero rispedito in un istituto» ricorda Angela «io gli ho risposto che potevano mandarmi dove volevano, ma che mio padre non aveva mai abusato di me e che, alla fine, sarei tornata dai miei genitori naturali». I giudici a quel punto si arrendono definitivamente.

Oggi Angela ha 22 anni, è fidanzata e vorrebbe aprire un negozio di abbigliamento. Della vicenda le rimane il rimpianto di un'infanzia rubata, di un'adolescenza spezzata, di amicizie e amori mai vissuti; una silhouette nera di un uomo che la scruta, simbolo dei sensi di colpa che, nonostante colpe reali non ne abbia, si porterà dietro per tutta la vita, accompagna e probabilmente accompagnerà per sempre le sue notti e i suoi sogni.

Note e commenti

  • Una sentenza del 2008 della Corte di Strasburgo, presso la quale la famiglia di Angela ha fatto ricorso nel 2003, condanna lo Stato Italiano a risarcire lei, i suoi genitori e il fratello per i danni morali subiti a causa dell'interruzione forzata dei rapporti «protrattasi anche dopo l'assoluzione» di Salvatore. Il Tribunale per i diritti umani stabilisce un indennizzo di 20mila euro a testa.
  • Luisa Della Rosa è attualmente direttore clinico e scientifico del CTiF di Milano: evidentemente la signora, dopo una gavetta a base di perizie calunniose, è stata giustamente premiata dalle lobby femministe che ormai infestano i gangli della società attuale con un ruolo di responsabilità profumatamente retribuito. Il suo amico Pietro Forno è invece procuratore aggiunto presso la Procura di Milano.
Noi non ci stupiamo affatto se questa gente, dopo tutto il male che è riuscita a fare, continua a svolgere tranquillamente il proprio lavoro e ad arricchirsi calunniando i padri e rapendo i loro figli, senza alcun genere di responsabilità civile o penale: i metodi di autoconservazione messi in atto dalla casta giudiziaria femminista del resto prevedono l'impunità per i loro membri, che contrariamente ai comuni cittadini non rispondono delle loro azioni davanti alla Legge e alla Costituzione. Chi deve pagare per i loro errori, eventualmente, è l'erario.

Fonti

  • Rapita dalla giustizia: come ho ritrovato la mia famiglia di Angela L.
  • Articolo de Il Foglio del 23 marzo 2001 di Cristina Giudici
  • La vita in diretta, dichiarazioni di Angela e Salvatore, 26/02/09

Collegamenti esterni

La storia di Angela nei gulag giudiziari, parte 2

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L’esperienza della piccola (7-8 anni) nei campi di concentramento gestiti dalle abusologhe, interessate esclusivamente a ricevere il proprio compenso di “fabbricanti di mostri” e a malleare la mente dei fanciulli loro sottoposti, è tremenda. Ma Angela è fortunata ad essere una femmina: infatti, mentre le bambine in questo genere di lager vengono allevate per diventare le femministe calunniatrici di domani, i maschi sono seviziati come animali. Lo scopo è chiaro: creare uomini violenti e rabbiosi, i futuri detenuti. Recentemente, una retata della Guardia di Finanza ha rinvenuto in uno di questi centri di affido strumenti di sevizie del genere BDSM: fruste, manette, falli di acciaio, vibratori, nonché droghe psichedeliche di vario tipo. Di questo la bambina non viene a conoscenza: le femmine difatti, come testimonia lei stessa, vengono quasi totalmente isolate dai maschi. Generalmente i bambini, una volta usciti da queste strutture, non riescono a parlare delle proprie terribili esperienze, ed è proprio per questo motivo che al momento non abbiamo a disposizione testimonianze dirette come quella di Angela ma aventi come protagonisti persone di sesso maschile.

Nel suo libro, la piccola racconta dei metodi rieducativi adottati dalle sue aguzzine. Oltre a una quantità incredibile di regole assurde da rispettare e finalizzate alla crescita di donne apatiche e anaffettive, si apprende anche il diffuso ricorso a punizioni fisiche: ogni volta che una regola non veniva rispettata, ogni volta che un compito (come lavare i piatti, riordinare gli ambienti, vestire le bambine più piccole) non veniva eseguito nelle modalità richieste, scattavano sanzioni consistenti nell’esecuzione di centinaia di faticose flessioni sulle ginocchia. Ma questi metodi da camerata non forgiano il carattere di Angela, che sovente si ribella. Tenta di fuggire per tornare dalla sua famiglia e dal suo papà, che non ha mai cessato di amare, ma viene scoperta e punita; prova a stabilire contatti con l’esterno dal giardinetto del centro, ma questo viene recintato con un telo su disposizione della SS capo; si rifiuta di bere il latte, che non digerisce, e viene presa a schiaffi; disegna un ritratto della sua famiglia di origine (della quale ha ormai dimenticato persino i nomi), ma un'educatrice glielo sottrae rivolgendosi a lei con crudeltà inaudita «Angela, tu non hai una famiglia». Quella frase le verrà ripetuta molte volte nel corso degli anni: in tutte le maniere le assistenti sociali, le educatrici, i genitori adottivi tenteranno di convincerla che i suoi genitori l'avevano abbandonata e che suo padre l'aveva realmente abusata. Il racconto completo della sua esperienza lo si può trovare in “Rapita dalla giustizia: come ho ritrovato la mia famiglia” edito dalla Rizzoli (di Angela L., coautori Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella).

Intanto, il Tribunale dei minori avvia la procedura volta a far dichiarare Angela adottabile. Per questo, nomina un nuovo perito incaricato di stabilire se Raffaella avesse potuto recuperare il suo ruolo di genitore: naturalmente, il medesimo Ufficio rigetta la domanda con la quale Salvatore, in carcere, richiede che la perizia fosse estesa a lui. Il 24 aprile 1997, sulla base della relazione stesa dal delegato, il Tribunale dichiara la bambina adottabile: l’opinione dei giudici è infatti che il comportamento tenuto dalla madre incatenandosi al Caf sarebbe stato contrario ai doveri di una madre responsabile nonché palesante un «sostegno ingiustificato» nei confronti del marito detenuto. I genitori di Angela vengono in questa maniera spogliati della potestà genitoriale.

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La storia di Angela nei gulag giudiziari, parte 1

... sul foglio bianco avevo tracciato una linea oblunga
cui avevo dato il nome di "fantasma". Nel gioco che era
seguito, con la psicologa avevamo deciso di chiamarlo
"Pisello"
(Angela L., "Rapita dalla giustizia", Ed. Rizzoli)
Vi vogliamo qui raccontare la storia di una bambina milanese obbligata dalle istituzioni ad accusare falsamente il padre Salvatore di pedofilia e per questo allontanata dalla famiglia di origine per ben dieci anni. Dopo il ricongiungimento la piccola Angela, ormai cresciuta, decide di pubblicare un libro in cui racconta la propria storia, dal momento in cui a 6 anni viene prelevata da scuola per essere condotta in orfanotrofio a quello in cui finalmente, raggiunta la maggiore età, si ricongiunge con i suoi familiari. Salvatore oggi può riabbracciare la figlia, ma solo dopo aver trascorso due anni e mezzo di carcere preventivo: in Cassazione, ove viene definitivamente riconosciuto il fatto che Angela è stata manipolata da psicologhe e PM e costretta suo malgrado ad avanzare simili accuse, viene infatti assolto per non aver commesso il fatto. In questo racconto riveleremo innanzitutto le modalità attraverso cui oscure associazioni di matrice femminista e i loro lacchè delle Procure e dei Tribunali l’hanno costretta a produrre quel genere di calunnie.

La storia inizia quando una cugina di Angela, Antonella, decide di accusare Salvatore, per quella che si scoprirà successivamente essere stata una vendetta personale, di aver abusato sessualmente della figlia piccola. Messo al corrente del fatto, il Tribunale dei minori incarica una psicologa del Cismai, tale Luisa Della Rosa, di eseguire delle perizie sulla bambina. Un disegno raffigurante un fantasma è la prova che condanna Angela a dieci anni di inferno: nella concezione femminista infatti, la rappresentazione di spettri da parte di bambini è segno inequivocabile di abusi pedofili subiti da parte del padre. Tuttavia, come testimonia la stessa Angela nel suo libro e in diverse interviste (e come viene confermato in Tribunale da agenti della polizia), il disegno sarebbe stato in qualche maniera forzato dalla medesima “esperta”: «smettila di disegnare bambole, a me interessano solo letti e fantasmi» le avrebbe intimato. Il fatto rilevante è che nella prima audizione in cui era assente il perito di parte della famiglia e la bambina era rimasta sola con la psicologa del Tribunale, questa ha improvvisamente cessato di fare i soliti disegni tracciando sul foglio di carta una figura oblunga a cui ha dato il nome di fantasma "Pisello". Il manufatto, allegato alla relazione in cui la Della Rosa esprime la certezza di una «grande e palpabile sofferenza, compatibile con esperienze traumatiche di natura sessuale», viene inoltrato al Tribunale dei minori, che solo ed unicamente sulla base di quello stabilisce il perentorio allontanamento della piccola dalla sua famiglia. Nessuna altra prova psico-diagnostica di abusi è stata prodotta in quei colloqui, così come nessuno si è minimamente sognato di eseguire delle perizie e dei riscontri sulle parole della cugina Antonella, peraltro affetta da manifesti problemi psichiatrici.

Il 24 novembre 1995, all’età di sette anni, Angela viene prelevata a scuola da due carabinieri in divisa e da un’assistente sociale e condotta presso un centro di affido familiare (Caf) gestito guarda caso dal Cismai: il Comune di Milano verserà a tale associazione per il mantenimento della bambina la spropositata cifra di 150 milioni di lire (corrispondenti ai 4 milioni di retta mensile), conto peraltro poi ripresentato al padre alla fine della vicenda. Evidentemente i nostri del Cismai hanno capito come si può lucrare sulla pelle dei bambini... ma questo non è l'unico scopo che simili individui si prefiggono. Si deve infatti sapere che, in perfetto accordo con i dettami della cultura femminista ormai radicata in questo genere di ambienti, per tali persone è assolutamente vitale smantellare le famiglie, che odiano visceralmente (si veda ad esempio http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/11/01/famiglia-la-tomba-delle-donne/ o http://vogliamotuttopisa.noblogs.org/post/2011/02/12/la-violenza-sulle-donne-una-questione-di-famiglia%E2%80%A6/), facendo incarcerare i padri con false accuse di pedofilia.

Il 26 gennaio 1996 il pm di Milano Pietro Forno, incaricato di condurre l'inchiesta, fa arrestare Salvatore con l'accusa di violenza sessuale su minore: alle 5 del mattino l'uomo viene ammanettato davanti all'altro figlio di dodici anni e portato nel penitenziario di San Vittore, dove rimarrà per due anni e mezzo. Solo successivamente Forno si preoccupa di creare prove tangibili da portare in Tribunale (per gente come lui, i sospettati vanno incarcerati senza evidenze e i processi sono solo inutile burocrazia); a tal scopo, decide di assegnare ad Antonella l'incarico di recarsi al Caf in cui è detenuta Angela per cercare di convincerla a calunniare definitivamente il padre con dichiarazioni chiare e concise. Ed è a quel periodo che risale un’intercettazione resa da un membro direttivo del Cismai, Marinella Malacrea, in cui la signora afferma testualmente che
con Forno rimango poi d’accordo che farò bastare gli elementi che ho… informo Forno che se non riuscirò a produrre un minimo di alleanza [con la bambina testimone, ndr] non mi pare utile farle un esame psicologico, sarebbe [non si capisce la parola] oltre che controproducente
il tentativo non sortisce gli effetti sperati: la bambina non capisce neanche quello che si richiede da lei, talmente tenera era l’età. Dunque si ricorre all’arma del ricatto: in sede di interrogatorio, la solita delegata Cismai istruisce la piccola su cosa dire di fronte alle telecamere, promettendole con un inganno spudorato che se avesse ripetuto tutto a menadito avrebbe rivisto la mamma da cui era stata sottratta ormai da quasi un anno. Ed è in questa maniera che ad Angela viene estorta l'orribile confessione: la bambina, di fronte allo spietato ricatto, annuisce alle accuse formulate dalla psicologa con brevi cenni della testa, inconsapevole che quelle conferme sarebbero state usate contro il suo papà che tanto l'amava.

Ma non è finita qui: uno psicologo del Tribunale dei minori, sempre probabilmente su sollecitazione del Cismai, contatta la madre di Angela, Raffaella, comunicandole che se anche lei avesse fornito alla Procura elementi utili a sostenere il processo penale contro il marito (siamo dunque di fronte ad una vera e propria istigazione alla calunnia), avrebbe potuto rivedere la figlia. Per tutta risposta la donna, convinta fino in fondo dell’innocenza del compagno, si incatena davanti al Caf per cercare di attirare l’attenzione dei media sulla vicenda e al tempo stesso di far sapere ad Angela che non l’aveva abbandonata. Il Tribunale decide così di trasferire la bambina in un altro gulag femminista in maniera da recidere completamente i rapporti tra madre e figlia; il destino della piccola rimarrà ignoto alla sua famiglia per lunghi anni.

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Pietro Forno e il Cismai. La fabbrica dei mostri e il commercio dei bambini mai abusati

Pietro Forno è un procuratore della Repubblica, salito agli onori della cronaca per il suo metodo di indagine.

Il metodo Forno si è contraddistinto nel corso degli anni per una spiccata tendenza a creare dal nulla mostri pedofili: perizie fasulle volte a documentare abusi sessuali mai occorsi, distruzione di atti a difesa degli indagati (che non vengono mai interrogati perché, come scrive il professor Guglielmo Gullotta, non è «neanche presa in esame l’ipotesi che il sospettato possa essere innocente, ma si afferma che il presunto abusante neghi sempre»), bambini sottratti alle famiglie e costretti loro malgrado, con l'arma del ricatto, ad accusare i padri del più grave reato contro l'infanzia che si possa concepire. I risultati del metodo Forno sono stati devastanti: fanciulli costretti in orfanotrofi e in famiglie adottive per anni e anni (con ripercussioni psicologiche irreparabili), uomini incarcerati in custodia preventiva prima di essere assolti con formula piena in Tribunale.

Dietro il metodo Forno, è possibile notare la costante presenza di una sedicente organizzazione a difesa dei bambini denominata Cismai (intestataria peraltro di diversi centri di affido minorile e come tale fruitrice di finanziamenti pubblici dipendenti dal numero di piccoli ospiti), e dei suoi periti. Diverse testimonianze hanno confermato la malafede con cui i suoi operatori effettuavano le loro relazioni sui presunti abusati, sovente obbligandoli a estenuanti interrogatori finalizzati a stremarli e a farli accusare falsamente i padri di abusi pedofili dei quali in realtà non esisteva alcun riscontro reale. Molti di questi fanciulli sono stati sottratti alle famiglie di origine come conseguenza di simili calunnie, e rinchiusi nei centri Cismai a fare "numero" (cioè a fare "cassa"). Le perizie venivano assegnate a centinaia, e centinaia furono le parcelle pagate; in un'interrogazione parlamentare si chiese ragione di come sia stato possibile che ad un esperto del Cismai fossero state assegnate ben oltre 300 consulenze.

Forno, come del resto i suoi delegati, non ha mai risposto delle irregolarità procedurali da lui commesse e riconosciute più volte dai giudici. Oggi è sostituto procuratore del pool "fasce deboli" presso la Procura di Milano.

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