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L’esperienza della piccola (7-8 anni) nei campi di concentramento gestiti dalle abusologhe, interessate esclusivamente a ricevere il proprio compenso di “fabbricanti di mostri” e a malleare la mente dei fanciulli loro sottoposti, è tremenda. Ma Angela è fortunata ad essere una femmina: infatti, mentre le bambine in questo genere di lager vengono allevate per diventare le femministe calunniatrici di domani, i maschi sono seviziati come animali. Lo scopo è chiaro: creare uomini violenti e rabbiosi, i futuri detenuti. Recentemente, una retata della Guardia di Finanza ha rinvenuto in uno di questi centri di affido strumenti di sevizie del genere BDSM: fruste, manette, falli di acciaio, vibratori, nonché droghe psichedeliche di vario tipo. Di questo la bambina non viene a conoscenza: le femmine difatti, come testimonia lei stessa, vengono quasi totalmente isolate dai maschi. Generalmente i bambini, una volta usciti da queste strutture, non riescono a parlare delle proprie terribili esperienze, ed è proprio per questo motivo che al momento non abbiamo a disposizione testimonianze dirette come quella di Angela ma aventi come protagonisti persone di sesso maschile.
Nel suo libro, la piccola racconta dei metodi rieducativi adottati dalle sue aguzzine. Oltre a una quantità incredibile di regole assurde da rispettare e finalizzate alla crescita di donne apatiche e anaffettive, si apprende anche il diffuso ricorso a punizioni fisiche: ogni volta che una regola non veniva rispettata, ogni volta che un compito (come lavare i piatti, riordinare gli ambienti, vestire le bambine più piccole) non veniva eseguito nelle modalità richieste, scattavano sanzioni consistenti nell’esecuzione di centinaia di faticose flessioni sulle ginocchia. Ma questi metodi da camerata non forgiano il carattere di Angela, che sovente si ribella. Tenta di fuggire per tornare dalla sua famiglia e dal suo papà, che non ha mai cessato di amare, ma viene scoperta e punita; prova a stabilire contatti con l’esterno dal giardinetto del centro, ma questo viene recintato con un telo su disposizione della SS capo; si rifiuta di bere il latte, che non digerisce, e viene presa a schiaffi; disegna un ritratto della sua famiglia di origine (della quale ha ormai dimenticato persino i nomi), ma un'educatrice glielo sottrae rivolgendosi a lei con crudeltà inaudita «Angela, tu non hai una famiglia». Quella frase le verrà ripetuta molte volte nel corso degli anni: in tutte le maniere le assistenti sociali, le educatrici, i genitori adottivi tenteranno di convincerla che i suoi genitori l'avevano abbandonata e che suo padre l'aveva realmente abusata. Il racconto completo della sua esperienza lo si può trovare in “Rapita dalla giustizia: come ho ritrovato la mia famiglia” edito dalla Rizzoli (di Angela L., coautori Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella).
Intanto, il Tribunale dei minori avvia la procedura volta a far dichiarare Angela adottabile. Per questo, nomina un nuovo perito incaricato di stabilire se Raffaella avesse potuto recuperare il suo ruolo di genitore: naturalmente, il medesimo Ufficio rigetta la domanda con la quale Salvatore, in carcere, richiede che la perizia fosse estesa a lui. Il 24 aprile 1997, sulla base della relazione stesa dal delegato, il Tribunale dichiara la bambina adottabile: l’opinione dei giudici è infatti che il comportamento tenuto dalla madre incatenandosi al Caf sarebbe stato contrario ai doveri di una madre responsabile nonché palesante un «sostegno ingiustificato» nei confronti del marito detenuto. I genitori di Angela vengono in questa maniera spogliati della potestà genitoriale.
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